I compiti sono inutili e dannosi

Pubblicato da Redazione Basta Compiti! il

Un dirigente scolastico spiega perché i compiti sono inutili e dannosi.

Ci è sempre stato detto che i compiti a casa sono utili, anzi essenziali, e che noi genitori dobbiamo impegnarci e sacrificare il tempo che passiamo con i nostri figli, per seguirli, incoraggiarli e spesso obbligarli a fare i compiti.

Si può dire che l’importanza dei compiti a casa sia uno degli assiomi fondamentali della scuola di oggi, eppure c’è qualcuno che sta mettendo in discussione questo assioma, qualcuno che nella scuola ci ha vissuto e continua a viverci sia come dirigente scolastico che come genitore.

Si chiama Maurizio Parodi e ha scritto vari libri sull’argomento tra cui uno dall’eloquente titolo “Basta Compiti!”, nel gruppo Facebook dal titolo omonimo ha già raccolto molti genitori e qualche insegnante che si confrontano per promuovere e sostenere azioni volte a superare la pratica, considerata inutile e dannosa, dei “compiti a casa”, gli abbiamo rivolto alcune domande per capire meglio le sue motivazioni ed è inutile che vi dica che concordo al 100%.

Qual è il suo percorso professionale all’interno della scuola?
Entrato nella scuola a sei anni, non ne sono più uscito: studente, insegnante, dirigente scolastico, ricercatore e infine padre (di uno studente).
Attualmente sono assegnato al “Coordinamento Genitori Democratici”; mi occupo di formazione, ricerca, progettazione in ambito socio-pedagogico, non ancora rassegnato all’impermeabilità degli apparati educativi. Ma l’impegno più dilettevole è rappresentato dalla conduzione dei “Laboratori di Ri-Animazione del libro”.
Ho collaborato con le più importanti riviste italiane di pedagogia e didattica, e scritto alcuni saggi, tra i quali: Scuola: laboratorio di pace (Junior, 2000); La scuola che fa male (Liberodiscrivere, 2009), Basta compiti! (Sonda, 2012); Gli adulti sono bambini andati a male (Sonda, 2013).

Perché è nato il gruppo Basta Compiti e quali sono le sue finalità?
Il gruppo: “Basta compiti!” nasce per promuovere e sostenere azioni volte a superare una pratica inutile e dannosa, quella dei “compiti a casa”, favorendo la riflessione e il confronto tra i partecipanti, la condivisione di proposte e la segnalazione di possibili alternative didattiche.

Perché reputa l’argomento dei compiti a casa così importante? Non ci sono altre priorità su cui agire nel sistema scolastico?
Perché è di strategica rilevanza.
Oggi più che mai è bene imparare, ma è necessario imparare a imparare.

E la scuola cosa fa?
Gli insegnanti danno i compiti a casa, perché gli studenti imparino (memorizzando le nozioni), e imparino a imparare, acquisiscano, cioè, un «metodo di studio». Gli insegnanti spiegano e gli alunni studiano.
In altre parole, a scuola si insegna e a casa si impara. Uno stupefacente paradosso.

Se davvero la capacità di imparare è per gli individui la risorsa più preziosa, allora la scuola dovrebbe considerarla una priorità istituzionale, dovrebbe collocarla al centro della propria riflessione pedagogica, dovrebbe concentrare su di essa il massimo impegno, dispiegare tutti i mezzi disponibili e profondere le migliori energie (innanzitutto professionali), dovrebbe farne il cuore della propria mission.
Invece, a scuola s’insegna e s’impara a casa.

A scuola, è bene ribadirlo, non si insegna a imparare, non si forniscono strumenti metacognitivi. Spesso non si va oltre l’esortazione, blanda, ossessiva o terroristica: fate attenzione (ma cosa vuol dire?); procedete con metodo (quale?); concentratevi nello studio (come?).
Però i docenti pretendono dai loro alunni l’impiego di un metodo di studio, ne lamentano, in sede di valutazione, l’assenza o l’inadeguatezza, stigmatizzando, nei giudizi, l’incapacità degli studenti più sprovveduti, attribuendo loro per intero la causa della mancanza.

Il ragazzo non si applica, è dispersivo, non ha metodo: mai che a tali sentenze si accompagnino dichiarazioni impegnative per l’insegnante (Io che cosa ho fatto per aiutarlo a darsi un metodo?).
Ed è perfettamente logico: se è a casa che si impara, svolgendo appunto i «compiti» assegnati, la responsabilità del fallimento non può che essere dello studente e della sua famiglia.
Dunque il «compito» principale della scuola è di fatto delegato per intero allo studente che deve provvedervi autonomamente, con proprie risorse, se e quando ci sono.

Che feedback ha ricevuto, sia positivi che negativi, dalla pubblicazione del libro?
Molti consensi da parte di genitori, che si ritenevano alieni prima di scoprire che un dirigente scolastico, di vasta esperienza e con qualche “titolo”, sostenesse le loro ragioni; pochissimi consensi da parte degli insegnanti, anche se nel Gruppo facebook: “Basta compiti!” ne abbiano “censiti” più di dieci: un risultato che reputo straordinario, anche perché significa la possibilità per centinaia di persone (i loro studenti) di vivere una qualità della vita scolastica (che è tanta parte della loro vita) in modo più sereno e proficuo.

Perché i compiti sono ritenuti importanti da chi li sostiene?
Si tratta di un impegno irrinunciabile per la quasi totalità dei docenti che però non chiariscono, a se stessi, prima ancora che agli studenti e ai loro genitori, le ragioni di una così radicata e diffusa consuetudine. Ancor più improbabile trovare negli strumenti di documentazione in uso nelle scuole (Registri, Agende, Quaderni, Diari, Verbali…) riferimenti a scopi men che generici: non vi è traccia di una definizione puntuale, operativa degli obiettivi didattici che ci si prefigge di raggiungere attraverso lo svolgimento dei compiti a casa.

Impensabile, date le premesse, la predisposizione di appositi strumenti di verifica, utilizzando i quali si possa stabilire se tale attività abbia prodotto gli effetti desiderati; non ci si impegna, cioè, a specificare gli indicatori (in termini di sapere, saper fare, saper essere) che dovrebbero stimare l’efficacia della procedura adottata.
Volendo essere ancora più chiari: gli insegnanti non dicono (e nemmeno scrivono) perché danno i compiti a casa, e non si attrezzano per stabilire se l’impegno sia utile, in che senso lo sia, se sia questo il solo modo o il modo migliore, il più «economico» e razionale per ottenere i risultati (quali?) attesi.

La risposta che più frequentemente ricorre, nelle rare occasioni in cui qualcuno si provi a chiedere spiegazioni in merito, è fin troppo ovvia, quasi superflua: i compiti a casa servono allo studente per imparare a memorizzare i contenuti dell’insegnamento, a riferirli nel corso dell’interrogazione e impiegarli nella prova scritta, a strutturare logicamente le informazioni, a rielaborare i dati trasmessi durante la lezione o la lettura del manuale, per imparare ad applicare le conoscenze acquisite, a dimostrarne la padronanza, insomma per apprendere, costruire, sviluppare, perfezionare il metodo di studio.
Ma, come dicevo, è proprio ciò che si dovrebbe fare a scuola.

Perché invece voi li ritenete dannosi?
Credo che il Manifesto del Gruppo: “Basta compiti!” risponda nel modo più esaustivo.
I compiti a casa sono:

  1. inutili: le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate a comando (interrogazioni, verifiche…) hanno durata brevissima – dopo un paio di mesi non si ricorda nulla;
  2. dannosi: procurano disagi, sofferenze soprattutto agli studenti già in difficoltà, suscitando odio per la scuola e repulsione per la cultura, oltre alla certezza, per molti studenti “diversamente dotati”, della propria «naturale» inabilità allo studio;
  3. discriminanti: avvantaggiano gli studenti avvantaggiati, quelli che hanno genitori premurosi e istruiti, e penalizzano chi vive in ambienti deprivati, aggravando, anziché “compensare”, l’ingiustizia già sofferta;
  4. prevaricanti: ledono il “diritto al riposo e allo svago” (sancito dall’Articolo 24 della dichiarazione dei diritti dell’uomo) riconosciuto a tutti i lavoratori – e quello scolastico è un lavoro oneroso e spesso alienante: si danno anche nelle classi a tempo pieno, dopo 8 ore di scuola, persino nei week end e “per le vacanze”;
  5. impropri: costringono i genitori a sostituire i docenti; senza averne le competenze professionali, nel compito più importante, quello di insegnare a imparare (spesso devono sostituire anche i figli, facendo loro i compiti a casa);
  6. limitanti: lo svolgimento di fondamentali attività formative (che la scuola non offre: musica, sport, arte…), oltre gli orari delle lezioni, che richiedono tempo, energie, impegno, esercizio, sono limitate o impedite dai compiti a casa;
  7. stressanti: molta parte dei conflitti, dei litigi (le urla, i pianti, le punizioni…) che avvengono tra genitori e figli riguardano lo svolgimento, meglio il tardivo o il mancato svolgimento dei compiti; quando sarebbe invece essenziale disporre di tempo libero da trascorrere insieme, serenamente;
  8. malsani: portare ogni giorno zaini pesantissimi, colmi di quadernoni e libri di testo, è nocivo per la salute, per l’integrità fisica soprattutto dei più piccoli, come dimostrato da numerose ricerche mediche.

Siete a favore dell’obiezione dei genitori che non fanno fare i compiti?
Vorremmo che i compiti non fossero assegnati; che i genitori potessero fare i genitori e non gli insegnanti di complemento (quando possono farlo); che lo studente (soprattutto chi viva in ambienti disagiati, deprivati) non fosse lasciato solo proprio quando ha maggior bisogno dell’insegnante, perché è l’insegnante, il professionista che dovrebbe aiutarlo a imparare.

Se potesse costruire una scuola ideale, come sarebbe?
Come quella delineata nelle Indicazioni, nei Programmi ministeriali, totalmente ignorati, anzi contraddetti dalla didattica reale.

Il “programma scolastico”, che si deve comunque svolgere in classe a qualunque costo (anche l’espulsione dal “sistema” proprio di coloro che nella scuola potrebbero trovare lo sola opportunità di affrancamento e promozione) e che non si riesce mai a finire, non è quello “prescritto”: coincide con l’indice degli innumerevoli libri di testo adottati dai docenti.
Un solo esempio, dalla Premessa delle “Indicazioni nazionali”: “Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti pensati per individui medi, non sono più adeguate.” Si dice, inequivocabilmente, che la lezione cattedratica, basata sul libro di testo non ha più senso; ma nessuno se ne è accorto, anzi se si avanzasse una richiesta (foss’anche di spiegazione) in tal senso, si rischierebbe il “reato” di lesa maestà didattica. Eppure la scuola delineata dai “Programmi” è necessaria e possibile.

È la scuola di Montessori, Milani, Freinet, Rodari che si fonda sull’apprendimento “naturale”, sul protagonismo dello studente, sull’autonomia e la responsabilità di bambini e ragazzi, sull’organizzazione cooperativa; dove si fanno insieme cose sensate e appassionanti, dove si va volentieri, dove la ricerca sostituisce l’insegnamento (verboso, pedante), dove si legge e si scrive per piacere e non per dovere, dove si impara anche giocando…

Si può fare, come ci ha insegnato un grande maestro: Mario Lodi.

Genitorichannel.it

http://www.genitorichannel.it/scuola/compiti-sono-inutili-e-dannosi.html


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