Intervista a Marco Isopi

Pubblicato da Marco Isopi il

Ecco il testo dell’intervista che Marco Isopi ha concesso a Marco Frattaruolo per “Il Fatto” (della quale ben poco è stato riportato).

Sono Marco Isopi, professore di Matematica alla Sapienza e papà di Leonardo, 10 anni.

Premesse:- trattiamo solo dei compiti nella scuola primaria e secondaria di primo grado- quanto segue è dichiarato a titolo personale- ciò di cui parlo in seguito sono i compiti come tipicamente concepiti e praticati nella scuola italiana.

Non ci interessa una idea generale di compiti che può essere attualizzata in istanze molto diverse e non ci interessano i compiti creativi e stimolanti assegnati dai pur numerosi, ma un frazione irrilevante del totale, docenti “straordinari”.

La mia battaglia culturale è informata al pragmatismo;*questi* compiti sono dannosi e non è realistico pensare di poter cambiare radicalmente la testa del 90% degli insegnanti. Quindi aboliamoli.

D: Quale sono le ragioni che l’hanno spinta a partecipare all’iniziativa “Basta Compiti”?

R: Per anni ho insegnato a studenti che volevano laurearsi in matematica; studenti in generale motivati, di talento e che aveva scelto di studiare ciò che gli piaceva. Quando ho iniziato a insegnare anche a altri studenti, ne ho incontrati moltissimi che avevano problemi insormontabili nel superare un’esame di matematica. Lentamente ho iniziato a rendermi conto che le difficoltà col mio esame (e con altri) originava dall’idea che invece di dimostrare di aver capito, e quindi essere consapevoli che lo scopo è capire, parevano convinti di dovermi convincere di aver molto sudato. Inoltre sembrava loro assolutamente naturale, anzi necessario,espungere dalla propria memoria qualunque contenuto fosse stato sottoposto a verifica,con la stessa solerzia con cui si cerca di lasciarsi alle spalle un trauma o un periodo di sofferenza. La causa del fenomeno continuava a essermi ignota. Poi mio figlio ha iniziato la scuola e tutto è diventato chiaro: i compiti e soprattutto la “cultura dei compiti”.

D: Sul manifesto si legge come i compiti a casa siano considerati: inutili, dannosi, stressanti, malsani. Lei che è docente e genitore allo stesso tempo, ritiene davvero che i compiti siano tanto dannosi per gli alunni/figli? Perché?

R: Dannosissimi. Condivido le ragioni illustrate da Maurizio Parodi e quindi non sto qui a ripeterle. Aggiungo che sovente in classe si fa semplicemente passare il tempo; e gli alunni concludono a ragione che la scuola è noiosa. Poi l’apprendimento è demandato al lavoro da fare a casa. È l’alibi perfetto per l’insegnante che non fa in classe quello che dovrebbe. L’esperienza mi insegna che meno l’insegnante fa in classe, più sono i compiti. In questo modo viene scaricata sui genitori anche la funzione docente. E non tutti, naturalmente, sono in grado. Poi tipicamente i compiti sono ripetitivi, attività di cui l’alunno non comprende lo scopo (perché non è certo quello dichiarato) e appoggiati a materiale didattico di qualità abietta e zeppo di errori. La funzione del compito è in definitiva quella di affermare il potere dell’insegnante sull’alunno.

I più astuti lo intuiscono e imparano a dare al dicente quello che chiede: un atto di sottomissione. Ho così finalmente compreso l’origine della condotta di studenti in buona fede convinti di passare l’esame dimostrando deferenza e di aver speso molto. Aggiungiamo che questa richiesta punitiva, una manifestazione di sadismo l’ha definita molto opportunamente Crepet, crea un’avversione per la cultura che permane nell’età adulta. Paradossalmente la scuola diventa il crogiolo dell’anti intellettualismo che affligge la società italiana. Se va sulla spiaggia in Francia vedrà che la maggior parte delle persone sotto l’ombrellone sta leggendo un libro. Da noi invece…

Nella scuola francese dell’obbligo è vietato assegnare compiti.

D: Quali metodi di lavoro alternativi si sentirebbe di suggerire ai maestri/professori dei suoi figli?

R: Chiedersi quale può essere l’alternativa ai compiti dà per scontato che servano a qualcosa. Ma non è così e le statistiche OCSE parlano chiaro.

Suggerisco:

1) si impara in classe, anche utilizzando il tempo ora dedicato a “correggere i compiti”

2) la pretesa che un’argomento vada ripetuto come sta spiegato sul libro di testo (sovente penoso) va radicalmente abbandonata. Bisogna incoraggiare la curiosità, non mortificarla.

3) prendere le distanze dall’idea che l’importante è imparare a fare il proprio dovere definito da un’autorità che non deve spiegazione e trasmettere invece l’amore per il sapere.

D: Spesso si sente di bambini trascurati dai loro genitori (ad esempio assenti per motivi di lavoro). Non crede che i compiti a casa (fino a una certa età) possono essere motivo di ri-avvicinamento tra genitori e bambini?

R: È il contrario i compiti sono causa di scontro e avvelenano il tempo trascorso insieme da genitori e figli. Ci sono cose molto più importanti da fare con i propri figli che creano un legame positivo, incluso insegnargli qualcosa. Chi ha orari lunghi di lavoro non li riduce certo perché i figli sono carichi di compiti. Invece paga qualcuno che “aiuti” il figlio. Sono moltissimi a fare così. L’idea, che qui viene data per scontata, della partecipazione dei genitori ai compiti, dovrebbe costituire chiara illustrazione del perché tutta l’impostazione è sbagliata.

Se c’è bisogno del genitore, vuol dire che l’insegnante non sta facendo il proprio lavoro e chiede a altri di supplire. Poi qualcuno avrà i mezzi per farlo e altri no. Una delle idee fondanti dell’istruzione pubblica, quella di offrire lo stesso a tutti, indipendentemente dalla condizione sociale, sparisce.

Tra le tanti effetti nocivi, compiti sono anche un fattore della differenziazione classista nell’istruzione pubblica.

Aggiungo che a chiedere più compiti vedo di solito i genitori meno attenti verso i figli.


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